Il Teatro Fisico
Il termine teatro fisico è recentemente entrato a far parte dell’uso comune. Gli inventori di questo termine sono stati quegli attori educati in scuole non tradizionali come Lecoq, Grotowski e Decroux che erano abbastanza stanchi di essere considerati soltanto dei “mimi”.
Con questo termine essi intendevano descrivere in modo adeguato il fenomeno della parola utilizzata in associazione con il mimo, la pantomima e/o le maschere: un teatro di movimento, in cui l’uso del gesto, il movimento e l’azione sono privilegiati.
Nel 1978 nella scuola dell’Arte a Blue Lake in California, avevo sentito questo termine usato dal fondatore Carlo Mazzone Clementi in un modo generico per meglio dare un’inquadratura al tipo del teatro che stavamo imparando, però non era ancora un termine con un vero significato. Era un tentativo di descrivere un teatro non tradizionale e diverso dal solito studio seguito delle scuole di teatro basate su un metodo Stanislaviskiano
Ciò indubbiamente confuse i critici e storici dell’arte del teatro e del mimo, che erano ancora all’oscuro rispetto alla vera storia del mimo e del teatro di movimento e gestuale. Non c’era da meravigliarsi se essi negli anni settanta e ottanta non vedevano e non capivano ciò che stava succedendo nell’arte del teatro influenzato da Copeau, Decroux, Lecoq, Grotowski ecc.
Inoltre, dal momento in cui la pantomima nello stile muto di Marcel Marceau divenne sfortunatamente il modello universale di ciò che allora era soltanto un tipo di mimo, e il termine si identificò completamente nella sua figura: mimo = Marcel Marceau e il teatro di gesto, questo genere artistico perse la sua importanza. Il suo vero valore e la sua vera natura furono ridotte ad interpretazioni molto banali e stereotipate.
Comunque l’influsso soprattutto di Jacques Copeau e di Jaques Lecoq, il quale ha sempre sostenuto che le parole vanno d’accordo con il mimo e il gesto, non si perse fra i suoi seguaci che continuarono a sviluppare ed evolvere il concetto che il teatro è essenzialmente un fenomeno fisico, non soltanto uno studio psicologico dell’attore e del personaggio. Non era soltanto nello stile di Stanislavskij o Checov ma molto di più.
La scuola di Lecoq conferì questo significato e definizione essendo una scuola teatrale dedicata alla convinzione che il teatro è fisico nella sua natura. Di conseguenza apparvero nuove ispirate produzioni in cui il mimo era soltanto subordinato alla parola ma in esse incominciava a riemergere il vero significato e valore del mimo: l’arte del teatro che contiene le maschere, acrobazie, abilità circensi, commedia dell’arte, teatro danza – tutti quegli stili teatrali faticosi dal punto di vista dell’allenamento fisico e dell’interpretazione, venivano ora usati in modi non tradizionali e non storici, combinando e “ridefinendo” la loro immagine. Fu creata una lingua che cercava di evitare “il teatro mortalmente noioso” così brillantemente descritto da Peter Brook.
Così nello sforzo di dare un significato preciso all’essenza del teatro fisico viene data molta enfasi al fatto che tutto dovrebbe essere ed è “un fenomeno fisico in primo luogo e prima di tutto”. Purtroppo, il termine sta diventando un concetto che indica soltanto uno stile di teatro. Descriverlo come uno stile sarebbe un’ingiustizia; teatro fisico è un concetto onnicomprensivo e molto eclettico della sua natura.
Questa definizione proverrebbe da persone che non capiscono Copeau o Lecoq e che sono in qualche modo fermi nella convinzione che il teatro valido e l’educazione al teatro è soltanto nella maniera di Stanislvski (realismo o naturalismo con molta improvvisazione e situazioni psicologiche) basate sullo sviluppo delle capacità psicologiche sensoriale.
Se si desiderasse studiare il teatro in quanto disciplina fisica sarebbe necessario ritornare alle tradizioni di Copeau e allo studio della natura fisica dei differenti stili teatrali che si sono sviluppati nel corso delle epoche.
Fra questi stili il mimo e la pantomima sono fondamentali e costituiscono il vero punto di partenza. Come l’improvvisazione e i giochi (visti per la preparazione teatrale) sono le fondamenta di ogni seria pedagogia, il mimo è la disciplina iniziale per il controllo corporeo, poichè insegna un concreto linguaggio corporeo che deve essere interpretato ed espresso in modo teatrale.
Inoltre, Lecoq dice, “Mimare è essere un tutt’uno con e quindi capire meglio. Se qualcuno maneggio tutto il giorno dei mattoni, accadrà che ad un dato istante non sappia più cosa sta maneggiando: diventa un automatismo. Se gli si domanda di mimare come maneggia un mattone, sarà in grado di riscoprire l’essenza di questo oggetto, il suo peso, il suo volume. Questo fenomeno è di grande interesse in campo pedagogico: mimare permette la riscoperta della cosa nella sua autenticità. L’atto di mimare è in questo caso una conoscenza. Esiste analogamente un minimo nascosto in tutte le arti; ogni vero artista è un mimo”. Se l’artista riesce a dare un’organicità a un’opera eseguita, è perché riesce a vivere le impressioni sensoriali del soggetto talmente profonde che poteva essenzializzarle dentro di sé, e di qui l’attore, secondo questo punto di vista, lo riproduce poi dando vita a una nuova creazione: il mimo. Il termine teatro fisico, perciò può essere usato per descrivere un avvicinamento alle arti teatrali che integra le qualità fisiche dei diversi stili e forme di rappresentazione adoperando e enfatizzando gli elementi fisici del corpo e il suo rapporto nello spazio della rappresentazione. Queste particolari caratteristiche fisiche e stili di ognuno sono attivamente “mimate” e interpretate attraverso l’analisi del movimento, dei gesti e del personaggio.
Gli aspetti fisici del personaggio e del palcoscenico (scenario, illuminazione, ecc.) sono compresi e considerati in relazione al controllo dello spazio e dell’azione in un luogo determinato. Lo scopo generale e di rendere concreto un metodo per dirigere (curare la regia e messinscena) e recitare con regole chiare, precise, tangibili e con un vocabolario che stabilisca un legame tra i processi psicologici, il movimento e la parola.
Un tale tirocinio consente all’attore di reggere meglio fisicamente e tradurre questi processi conferendo loro significato e valore, e al tempo stesso recitare una scena movimentata e visivamente interessante. In questo contesto le possibilità di espressione non sono vincolate in maniera incondizionata alla parola e all’interpretazione ponderata di versi; perciò l’attore diventa un “creatore-improvvisatore” non soltanto un interprete delle parole di qualcun altro.
Il teatro fisico, si può dire, diventa un modo di descrivere un processo attivo di creazione del teatro di movimento, in qualunque stile, in qualunque tradizione si desideri dare rilievo. Ciò che succede oggi, è che il termine “teatro fisico” rischia di essere relegato ad un ruolo di un tipo o stile di recitazione o teatro, che come il concetto del mimo, vedrà il suo vero valore e la sua vera natura ridotte ad interpretazioni ugualmente banali.
È indubbio che Stanislavskij diede un grosso contributo per quanto riguarda lo sviluppo dell’attore e lo studio della psicologia del personaggio, ma in generale collaborò soltanto in piccola parte alla comprensione del teatro come fenomeno di rappresentazione e il concetto “dell’arte di performance”. Comunque, sarebbe difficile trovare una scuola (inclusi molti programmi universitari) basata sul metodo della recitazione secondo Stanislavskij o nello stile delle tradizioni americane dell’Actor Studio (Lee Strausberg) che disprezzerebbero l’importanza della fisicità del teatro. Tutta via queste scuole stanno perdendo di vista il concetto di teatro come teoria di performance. Il loro tirocinio diventa sfortunatamente restrittivo e limitato per quanto riguarda la vastità degli stili di rappresentazione possibili.
Philip Radice
Fondatore e direttore
Atelier Teatro Fisico
Copyright © 1991 – Philip Radice