di Philip Radice
In ricordo di Eugenio Allegri: Attore, regista, maestro.
La mattina presto del 7 maggio ho ricevuto la notizia di Eugenio Allegri. La mia mente ha subito voluto rifiutare la verità di quello che stavo sentendo. La mia risposta è stata: “Ma stiamo scherzando!?” Tra cinque giorni Eugenio avrebbe tenuto il suo iconico workshop sulla Commedia dell’Arte qui alla scuola. Ha insegnato qui, negli ultimi quindici anni. Naturalmente il Covid ci ha ostacolato per il periodo della pandemia: proprio questo febbraio avevamo finalmente fissato la data dopo due anni e il giorno prima dell’inizio ha fatto il test per il Covid secondo i requisiti statali: inaspettatamente siamo stati di nuovo impediti dalle circostanze! Era risultato positivo! Ah ah, la Commedia all’Improvviso. La delusione è stata reciproca e abbiamo cercato di riorganizzarla immediatamente. Che altro potevamo fare, siamo entrambi tossici di arti teatrali, sia spacciatori che consumatori…
Sono arrivato a Torino nel 1984, e sono stato presentato a lui proprio perché stava tenendo un workshop sulla Commedia dell’Arte! Ero un neolaureato della scuola di Jacques Lecoq, abbiamo avuto subito una connessione e un legame. Lui è stato la fonte grazie alla quale ho potuto approfondire le mie capacità interpretative.
Abbiamo la stessa età, ma il suo talento e le sue capacità erano così evidenti che mi ha fatto sentire come se stessi partendo da zero, un giovane novizio. E da quel momento è scattato il nostro rispetto reciproco e la nostra amicizia, ognuno sulla propria nave, ma nello stesso mare. Nel corso degli anni a volte ci trovavamo nello stesso porto, ci scambiavamo appunti, discutevamo delle prospettive, raccontavamo di tesori trovati e di quelli perduti, ci scambiavamo qualche carico quando possibile per arricchire l’altro di ciò che non aveva.
Mi sembrava, naturalmente, che fossi io a fare sempre l’affare migliore, anche se lui insisteva sul contrario. Per me la sua nave era grandiosa e ben equipaggiata, spesso visitata da reali, ricchi, famosi. Eppure mi faceva sentire come se avessi io il tesoro più grande, nascosto in una nave grossa la metà. È diventato in questa scuola una delle vertebre che aiutano a tenere dritta la spina dorsale. Mi piacerebbe credere di avere un rapporto “speciale” con lui, ma in realtà era Eugenio che molto probabilmente faceva sentire tutti così.
Due navi, un mare, e poi ognuno lasciava di nuovo il porto come due esploratori alla ricerca di nuove terre e risorse. Lavorava con grandi talenti, gente di grande levatura, uomini di politica. Io restavo a dragare le acque per coltivare e formare quelle persone che potevano essere i prossimi Dario Fo, Totò, Tatì, Sordi, forse anche un nuovo Allegri. Una strana ma funzionale amicizia e collaborazione, una sorta di duetto di personaggi da commedia, a volte zanni, dottori, capitani, e più recentemente ovviamente pantalone, non tanto nel carattere quanto nel corpo!
E sì che era funzionale! Matthias Martelli è un esempio di questo straordinario amalgama di Lecoq, Eugenio, Dario Fo, e della formazione che Matthias stesso ha ricevuto in questa scuola, luogo dove, tra l’altro, si sono conosciuti!
Eugenio, come molti buoni maestri, insegnava agli allievi non da un podio in alto, ma dall’umiltà di un buffone, ispirando il giovane artista a non accettare mai i limiti che pensa di avere, anzi a convertirli in vantaggi, come un clown che trasforma il fiasco in una risata, in un rimedio, un antidoto, o un aneddoto? Eppure, non ha mai lasciato che ciò mettesse in pericolo la sua autorità sulla padronanza del suo sapere, o il rispetto per lui che coltivava negli studenti e nei compagni attori.
Non si può percepire questo se non si vedono e non si accettano le proprie debolezze.
Allo stesso tempo, capiva e trasmetteva che non si può cedere alle sconfitte o lasciare che l’auto-privazione e l’auto-critica diventino impedimenti per paura del fallimento. Non era perfetto, e ha accettato comunque la sfida di provare a esserlo, anche sapendo che è un obiettivo irraggiungibile. Questa è la vera e onesta umiltà. Ho idealizzato Eugenio? Forse, ma è quello che fanno gli amici che sono attori, anche se può sembrare un po’ ingannevole.
Fa parte del nostro marchio di fabbrica come artisti.
Così non posso fare a meno di pensare alla classica scena di Pantalone che finge la propria morte per sentire cosa dice la sua famiglia, gli amici e i servi, su di lui. E poi, quando tutti hanno espresso le loro opinioni in forma di complimenti per finire in insulti, lui si sveglia improvvisamente dalla finta morte, e caccia tutti fuori dalla stanza con violenza, prendendoli a calci in culo, esponendoci la nostra stessa sciocca umanità e i nostri difetti. Spontaneamente, il pubblico risponde con entusiasmo, e successivamente, per la grande gioia, muore ridendo!
Grazie Eugenio per aver reso tutto più facile per tutti noi.
Philip Radice